La Cop28 di Dubai è terminata ed è tempo di bilanci. Il compromesso raggiunto scontenta a destra e a sinistra, i giovani ambientalisti che volevano impegni più stringenti e ravvicinati, ma di più i “negazionisti” del cambiamento climatico. Un compromesso è tale proprio per questo motivo, ma non ci sono alternative possibili al lento, a volte frustrante processo che da quasi trent’anni si ripete con le regole dell’Onu per cui si procede “per consenso”. Solo due Cop su 27 (a Kyoto nel 1997 e a Parigi nel 2015) prima di questa si sono concluse con accordi rilevanti e significativi sulla riduzione delle emissioni. Ma. se sono quindi giustificate le contestazioni di chi sostiene che “non abbiamo più tempo”, ed è senz’alto vero se osserviamo le concentrazioni di CO2 in atmosfera che dalla rivoluzione industriale sono aumentate del 50% o la temperatura media globale che è già aumentata di 1,4 gradi C malgrado l’ammonimento degli scienziati dell’IPCC a non superare la soglia di 1,5 gradi C, dobbiamo chiederci se può esistere un’alternativa possibile? No, non esistono scorciatoie possibili.
Forse invece dobbiamo guardare con più fiducia a un percorso che mai è stato così vicino all’esito davvero “rivoluzionario” di decretare, in un tempo ormai non più così lontano, la fine dell’”era fossile” che ci accompagna da oltre due secoli. Ed è tanto più significativo che ciò sia avvenuto proprio in un Paese che su oil&gas basa la sua ricchezza e con un Presidente di COP che è anche presidente dell’azienda petrolifera nazionale. La crisi climatica, da una parte, e l’innovazione tecnologica che rende sempre più “convenienti” le rinnovabili e l’efficienza, dall’altra, spingono i fossili dalla parte sbagliata della Storia. Ma non
sarebbe immaginabile che ciò avvenisse senza l’opposizione di chi sui fossili fonda il
suo ruolo nel mondo.
Con il transitioning away (la fuoriuscita) dai fossili, sancito dalla Cop 28 per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, con la IEA (International Energy Agency), per anni custode dello status quo, che prevede in tempi brevi il picco dei consumi globali di oil&gas e la Cina che contemporaneamente condivide con l’Europa e gli Stati Uniti l’obiettivo di triplicare in pochi anni il ricorso alle rinnovabili – la strada sembra ormai tracciata.
Non sappiamo sela decisione di tenere la prossima COP, di nuovo in un Paese produttore oil&gas come l’Azerbajan renderà più facile un nuovo accordo. Non credo. Tuttavia è il prezzo da pagare se si vuole perseguire la strada della decarbonizzazione che resta l’unica per garantire la sopravvivenza stessa della nostra specie su questo Pianeta.